C’è chi programma un viaggio in Grecia per il suo mare e le sue isole. Chi invece preferisce il santo clima delle Meteore. E c’è chi qui in Grecia ci viene per comprarsi una pelliccia.
Sono i turisti russi. E non sono pochi. In migliaia ogni anno partecipano a viaggi organizzati da tour operator per lo più russi con l’unico scopo di portarsi a casa una pelliccia. Perché, si dice, a dispetto del loro sole, i greci sono maestri in quest’arte.
Ecco svelato il mistero per cui una strada di Plaka, ad Atene, è votata alla pellicceria. Visoni, volpi, ermellini, cincillà per tutti i gusti e tutte le tasche. In bella mostra anche con 40 gradi all’ombra.
Le pelli vengono in buona parte dalla Grecia.
C’è un paese, nella Macedonia occidentale, che detiene il primato per quantità di allevamenti e di fabbriche dove si trattano le pelli e si confezionano le pellicce.
Si chiama Kastoria (il nome greco di castoro…), conta ben 120 luoghi di tortura, è orgoglioso di una tradizione di pellicciai che affonda le radici nel XIII secolo e dà lavoro in questo settore al 60% dei suoi abitanti.
La vita economica di questo paese, a quanto sembra, è legata a doppio filo con la Russia. L’80% della sua produzione finisce infatti negli armadi dalle signore di Mosca e San Pietroburgo. E in questi mesi è al lavoro per preparare la terza edizione di un incredibile Festival delle pellicce, in calendario a novembre.
Ma il vento antipelliccia sta arrivando anche in Grecia.
Non solo perché, poche settimane fa, il Ministero della Cultura e dello Sport della Grecia ha respinto la proposta dell’industria della pelliccia di chiedere all’Unesco di essere ammessa fra i beni da tutelare (l’allevamento di animali da pelliccia non è in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’UNESCO).
Ma anche perché i movimenti animalisti sono passati all’azione e negli ultimi anni decine di migliaia di animali, soprattutto visoni, sono stati liberati dalle gabbie.
Mentre l’industria della pellicce fa pressione sul governo perché in tempi di crisi – e qui la disoccupazione è ancora molto alta – un lavoro è pur sempre un lavoro, le associazioni animaliste ribattono che non sempre le fabbriche funzionano a pieno regime e che è il governo a sostenere un’industria che altrimenti non sopravviverebbe.